La quarta revisione della LADI, su cui il popolo è chiamato ad esprimersi il prossimo 26 settembre, è il secondo attacco che la destra tenta, quest’anno, nei confronti delle nostre assicurazioni sociali. Dopo il tentativo, fallito, di intaccare le prestazioni delle casse pensioni, ora tocca l’assicurazione disoccupazione.
Nell’opinione pubblica potrebbe facilmente diffondersi l’idea che questa della disoccupazione, a differenza delle casse pensioni, non sia una questione che tocchi tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, ma solo una “minoranza” sfortunata.
Ma le poche garanzie al lavoro che la nostra società offre dovrebbe far capire che chiunque di noi potrebbe ritrovarsi, da un giorno all’altro, disoccupato. La facilità con cui è possibile
licenziare, la sempre maggiore precarizzazione del posto di lavoro, la tanto acclamata – a destra – mobilità professionale, fanno sì che il lavoro garantito sia diventato una chimera.
Andare a colpire, in questo periodo di crisi economico-finanziaria, coloro che questa crisi la stanno subendo loro malgrado è quantomeno poco gentile e per nulla rispettoso del contributo che
queste persone danno alla crescita economica del nostro paese.
I mezzi per sanare i conti dell’assicurazione disoccupazione sono più di uno, si tratta di scegliere, politicamente, quale sia la via più conveniente per la maggioranza del paese. Con questa
revisione si è scelto di colpire le fasce più deboli riducendo le prestazioni assicurate, aumentando i tempi d’attesa per l’ottenimento delle prestazioni stesse e introducendo l’obbligo, per i
giovani sotto i trent’anni, di accettare qualunque lavoro. In un momento in cui si sbandiera a gran voce la necessità di essere professionalmente sempre aggiornati attraverso le varie possibiltà
di formazione continua e in cui si dice che chi vuole garantirsi un futuro professionale si deve specializzare, obbligare i giovani a qualunque lavoro è un atto pericoloso per il loro futuro.
Forse sarebbe un risparmio per le casse della disoccupazione, ma vorrebbe dire la squalifica professionale di questi giovani, sarebbe un’ulteriore precarizzazione del loro futuro.
Quando si è trattato di salvare UBS, il Consiglio federale non ha esitato a prelevare 10’000,– franchi dalle tasche di ognuno di noi, e chi ne ha beneficiato non ha esitato un attimo ad
assegnarsi i soliti bonus milionari.
Perché i soldi per sanare l’assicurazione disoccupazione non si vanno a prendere nelle tasche di tutti quei managers milionari che non pagano un centesimo in favore di questo importante pilastro
della socialità svizzera?
Non paghiamola noi la crisi, andiamo a votare NO il prossimo 26 settembre.