di Raffaella Brignoni, tratto da "Azione" del 8 agosto 2011
È una rivoluzione sociale, culturale e familiare. Una rivoluzione che in Norvegia ha un nome: pappapermisjon . E noi, giocando con il nome, la potremmo chiamare «missione pappa». Quella che molti padri (ancora pochi in Svizzera per la verità) si danno: prima i figli e poi, semmai, la carriera. Questione di priorità.
«La scelta di lavorare a tempo parziale è stata certamente una scelta di vita non facile. Bisognava scegliere tra una maggiore agiatezza economica o la possibilità di vivere la crescita di mio figlio. Io ho preferito la seconda possibilità». Adriano Venuti, 36 anni e archivista per la città di Lugano, quando otto anni fa è diventato padre e ha preso in braccio per la prima volta suo figlio non ha dovuto pensare troppo e ha deciso che per nulla al mondo avrebbe sacrificato quei giorni che passano e non ritornano più. Sarebbe stato un padre presente anche fisicamente e, senza tentennamenti, ha ridotto drasticamente la sua percentuale di lavoro passando al 50%. Le giornate da padre full time come sono organizzate? Al mattino si presenta puntuale all’Archivio storico che ha sede a Castagnola e nel pomeriggio si dedica al figlio: prepara la merenda, lo aspetta fuori dalla scuola, lo guarda giocare con gli altri bambini, lo accompagna a lezione di chitarra e lo aiuta nei compiti. Semplice. Quello che noi mamme, tra un salto mortale e l’altro, cerchiamo di fare. Ma che non tutti gli uomini capiscono e soprattutto condividono con noi.
«I primi anni di vita di un bambino passano molto più velocemente di quel che si potrebbe pensare, e io non ho voluto rinunciare alla possibilità di essere presente durante le prime conquiste di Fabrizio: la prima pappina, i primi passi, le prime parole. Non ho nemmeno voluto negare la possibilità alla madre di restare nel mondo del lavoro. Noi padri non possiamo certamente allattare i nostri figli, ma possiamo e dobbiamo partecipare alla loro cura: cambiar loro i pannolini, far loro il bagnetto, metterli a letto. Certo, ciò per me è stato possibile anche perché ho trovato un datore di lavoro che mi ha permesso il tempo parziale».
La paternità così come vissuta da Adriano Venuti non è certo però il modello imperante nel nostro paese come dimostrano i dati forniti dall’Ufficio federale di statistica. L’uomo lavora ancora a tempo pieno, la donna a tempo parziale. Per vari motivi: culturale (un uomo che passa l’aspirapolvere e poi corre alla scuola dell’infanzia a prelevare la prole? Che non sia mai!), economico (non sempre è possibile rinunciare a una parte cospicua del proprio stipendio), professionale (difficile, per chi ha ambizioni carrieristiche, potere raggiungere i propri obiettivi senza una partecipazione totale all’attività produttiva) e sociale (i ruoli sono ripartiti in questo modo da secoli e le trasformazioni, si sa, richiedono sempre tempo e adattamento). Detto in altre parole, persiste una suddivisione diseguale dei compiti familiari a svantaggio, ça va sans dire , della donna.
Interessante dunque come la Sic Ticino (Società degli impiegati di commercio) si sia fatta carico della questione, lanciando il concorso «Uomini che meglio conciliano professione e cura dei figli» cui è possibile partecipare fino alla fine di agosto. «Nell’ambito dei progetti di promozione delle pari opportunità portati avanti da SIC Ticino, l’iniziativa affronta la tematica del lavoro a tempo parziale maschile come strumento per giungere a una più equa rappresentanza di uomini e donne sia nel mondo professionale che negli impegni di cura legati all’ambito familiare» si legge nel sito dell’associazione. Il concorso si inserisce in un progetto ben più articolato, che avviato lo scorso febbraio e previsto sino alla fine del 2013, si pone come obiettivo la promozione dei modelli di lavoro a tempo ridotto (anche in posizioni di responsabilità) nel nostro cantone. La constatazione di fondo parte dall’osservazione del contesto socio-culturale in cui si denota «una polarizzazione stereotipata dei ruoli femminili e maschili per quanto attiene l’ambito lavorativo e familiare. Da una parte la donna madre che si occupa spesso esclusivamente della sfera privata (una parte importante di ticinesi abbandona il mondo professionale in modo quasi definitivo dopo la nascita del primo figlio) e dall’altra parte l’uomo lavoratore che si occupa di portare a casa la paga». Accanto a ciò «una cultura aziendale ticinese per la quale i posti di lavoro a responsabilità sono difficilmente immaginabili con occupazioni diverse dal tempo pieno e da profili che non siano maschili».
Un’iniziativa che ha il merito di arrivare proprio dal mondo professionale: le rivoluzioni come spesso accade partono non dalla politica ma da chi è sul campo. La SIC con il suo progetto intende così identificare gli uomini che in Ticino conciliano lavoro e famiglia in modo interessante per sé, per i figli e per la partner e utilizzare le esperienze emerse come best practice da diffondere sul territorio.
Le sei esperienze ritenute esemplari costituiranno la struttura portante della mostra itinerante che circolerà fra le aziende della Svizzera italiana. Non solo sono previsti dei «focus group» maschili per raccogliere informazioni sulle difficoltà e le resistenze che gli uomini incontrano quando si tratta di pianificare e attivare una diversa distribuzione dei ruoli. Infine, sarà creato un percorso formativo per accompagnare gli uomini nella pianificazione di una migliore conciliazione famiglia lavoro diversa. Con ringraziamenti tutti femminili.