Sabato mattina il traffico è intenso sulla A2. Molte famiglie svizzere, germaniche e olandesi si incolonnano a Brogeda con le loro auto cariche di bagagli, di provviste e di giochi da spiaggia. Poche ore di autostrada e le loro vacanze al mare potranno iniziare.
Io la colonna la evito perché esco a Chiasso, sto andando a Como, dove da diversi giorni, alcune centinaia di disperati hanno dovuto interrompere il loro viaggio verso l'ignoto, verso una vita migliore. Non hanno macchine, bagagli o giochi. Hanno solo i propri corpi, le proprie speranze, i propri sogni. Per loro le froniere sono chiuse.
Arrivo a Como verso le 11.00 di mattina, nel parco sotto piazza San Gottardo ci sono circa 500 persone provenienti dall'Africa e dal Medio Oriente. Uomini, donne, donne incinte e bambini. Non hanno un tetto, hanno solo alcune coperte per proteggersi un po' dall'umidità del prato – il giorno prima ha piovuto – e dal fresco della notte. Da come si muovono, si guardano e si sorridono, si capisce che malgrado l'infelice situazione hanno fatto amicizia tra loro. Condividono l'esperienza del viaggio, del bivacco, del desiderio di arrivare dove sperano di cominciare una nuova vita.
Alle 11:30 arrivano i volontari della fondazione Firdaus, sono una decina, ci sono le amiche Lisa, Luana, Tania, Myriam; hanno portato il pranzo preparato all'oratorio di Chiasso. Ad aspettarli ci sono anche dei volontari di Como.
Sistemiamo dei tavoli e organiziamo due file per consegnare un piatto di pasta, del pane e della frutta. Malgrado lo sforzo, i maccheroni non bastano per tutti. Qualcuno dovrà accontentarsi di un pezzo di pane e di un po' di frutta.
Non mi fermo a lungo. Poco dopo aver finito la distribuzione del pasto decido di allontanarmi e di tornare a casa. Il senso di impotenza è forte, ho bisogno di ritirarmi nei miei pensieri. Devo fare ordine tra le emozioni vissute in quelle due ore. Cerco di capire cosa ha reso e rende la vita di quelle persone diversa dalla mia. Riprendo la macchina per tornare a Lugano, dove ho una casa e una famiglia che mi aspettano. «Io ho un posto dove andare, – penso – sono un uomo fortunato». E vedo chiaramente cosa differenzia noi da loro: nulla, se non la fortuna di essere nati in questa parte di mondo.
Mi trovo ancora sulla A2, la colonna in direzione Sud è ancora più lunga del mattino. Migliaia di persone che vanno in vacanza. Persone che hanno una casa, un lavoro, po' di denaro e che sono liberi di muoversi, di passare le frontiere. Persone fortunate anche loro, come me.