Venerdì scorso un gruppo di manifestanti ha provato a indicare la possibilità di avere uno sguardo diverso sulle conseguenze generate dalla pandemia legata alla Covid 19. Questa poteva essere l'occasione per lanciare un dibattito pubblico su come, a dipendenza del proprio stato sociale, le restrizioni di questi mesi stanno avendo conseguenze più o meno gravi sulle persone. Ma non è stato così. Il Canton Ticino è infatti un posto curioso dove invece di provare, almeno ogni tanto, a guardare la luna, troppo spesso ci si concentra solo sul dito che la indica.
Mettiamo subito in chiaro che in quel gruppo erano presenti almeno un paio di stolti: una è la ragazza che ha dato una testata alla giovane giornalista che stava cercando di fare il suo lavoro; l'altro è quello che ha osato imbrattare la fontana del buon Tita Carloni, architetto e compagno che sempre si è battuto per le fasce più fragili della popolazione. Queste son cose che non si fanno perché rischiano di mandare alle ortiche il lavoro collettivo che sta alla base di un'azione politica, sociale e culturale.
Ecco, il Ticino si è fermato alla testata. Nessuno è stato capace di riprendere il discorso lanciato dai manifestanti.
Leggendo il documento preparato a sostegno della manifestazione, si possono scoprire cose molto interessanti che sicuramente varrebbe la pena approfondire. Prima di tutto non si è trattato dell'azione di qualche negazionista. La pandemia esiste e questa genera una serie di conseguenze sulle quali si possono avere opinioni diverse.
Per esempio, cosa succede sui luoghi di lavoro? «Da una parte la produzione non si può fermare, le fabbriche e i posti di lavoro continuano ad essere affollati e intanto si implementa il cosiddetto “smart working” e lo “smart studing”, forme di lavoro ancora più alienanti, isolanti e classiste (p.es non tutti possiedono i mezzi per far studiare i propri figli al computer). Dall’altra la socialità e l’aggregazione vengono completamente smantellate». Non sono questi argomenti che meriterebbero maggiore approfondimento?
«Il mantra del restate a casa e la creazione di coprifuochi da parte degli Stati è anche di per sé discriminante. Basti pensare a chi una casa non ce l’ha, a chi dalla propria casa viene sgomberato o a chi stando a casa deve viversi l’oppressione patriarcale della violenza domestica». E del diritto all'alloggio, delle condizioni in cui molte persone sono costrette a vivere non ne vogliamo parlare? Ci si rende conto della differenza che corre tra una famiglia poco abbiente che abita in un piccolo appartamento in affiato e chi invece può permettersi la villa con giardino? Questo argomento l'ho già affrontato in un articolo per il bisettimanale Area (e disponibile a questo collegamento).
Credo che sia giusto condannare gli atti di violenza, ma sarebbe ancora più utile aprire veramente un dibattito sulle differenze sociali che anche nella ricca e ridente Svizzera stanno alla base del sistema capitalista le cui correzioni legate allo stato sociale si stanno dimostrando, oggi più che mai, insufficienti.